Incontinenza Urinaria
INCONTINENZA URINARIA
L’incontinenza urinaria è un involontaria perdita di urina in tempi e/o in luoghi inappropriati tale da costituire un problema igienico e sociale; una problematica diffusa, quanto nascosta, che riguarda oltre 3 milioni di italiani e che colpisce prevalentemente il sesso femminile.
È una situazione che condiziona negativamente la qualità di vita e di relazione delle donne che molto spesso viene sopportata con rassegnazione come se non si potesse porre rimedio.
Il disturbo è comune nelle donne di tutte le età ma colpisce soprattutto sopra i 60 anni anche se il 10% dei casi riguarda le donne al di sotto dei 30 anni e ben il 40% riguarda donne con età compresa tra i 30 e i 50 anni.
La perdita della continenza può creare una vera e propria disabilità, con ripercussioni non trascurabili nel sociale, sulla sfera sessuale e familiare. L’uso stesso del pannolino, semplice e immediato tentativo di arginare il problema, può generare un vero e proprio handicap.
Le cause scatenati più comuni sono il parto per via naturale, la chirurgia degli organi pelvici, la ridotta attività fisica, l’obesità.
Clinicamente si possono riscontrare fondamentalmente due tipi di incontinenza:
- da stress: perdita di urina in associazione a uno sforzo fisico (tosse, starnuto, risata, ecc).
- da urgenza: perdita di urina in concomitanza di un forte stimolo minzionale che non consente il raggiungimento del bagno.
Circa il 50% delle incontinenze femminili è classificata come incontinenza da sforzo, percentuale che tende a ridursi in età più avanzata, quando diviene più frequente l’incontinenza da urgenza. I due quadri possono coesistere in quella che viene riconosciuta come incontinenza mista.
Nella donna l’incontinenza da stress o da urgenza, si manifesta spesso in associazione ad alterazioni della statica pelvica con successivo prolasso di organi come la vescica (cistocele), il retto (rettocele) l’utero (isterocele) e/o parti di intestino.
Tali problematiche sono quindi più frequenti nella donna anziana che risente degli effetti dell’età sulla vescica e sull’apparato urinario oltre che dei danni derivati dal parto, dalla carenza ormonale, dalla maggiore frequenza delle infezioni delle vie urinarie, dall’aumento cronico della pressione endoaddominale oltre che a problematiche mediche e neurologiche.
Tutti fattori che possono contribuire a determinare alterazioni del muscoli del pavimento pelvico o dello sfintere urinario intrinseco che sono la causa dell’incontinenza urinaria da sforzo; nell’incontinenza urinaria da urgenza invece le perdite sono legate ad una iperattività del muscolo stesso della vescica (detrusore).
Un attento colloquio con la paziente, una visita uro-ginecologica, es. urine ed urinocoltura ed un ecografia dell’apparato urinario sono sufficienti ad inquadrare il tipo di incontinenza. In caso di correzione chirurgica può essere indicata una valutazione videourodinamica, un indagine diagnostica che necessita del posizionamento di un catetere vescicole e che fornendo informazioni funzionali e morfologiche del basso tratto urinario, consente di comprendere la dinamica minzionale e quindi proporre l’intervento correttivo più appropriato.
TERAPIA
La terapia dell’incontinenza urinaria da sforzo può essere di vario tipo:
Il trattamento conservativo (riabilitativo) dell’incontinenza urinaria, per la sua efficacia, il basso costo e l’assenza di rischi, deve essere considerato come il trattamento di prima istanza; se dopo 2-3 mesi di trattamento, non si registra miglioramento la paziente deve essere dirottata verso altre terapie.
Il trattamento riabilitativo ha come obiettivo quello di far recuperare alla donna il controllo dell’attività della muscolatura del piano perineale le cui disfunzioni possono avere delle conseguenze di tipo uro-ginecologico, proctologico e/o sessuale.
Comprende essenzialmente tre tecniche:
- la chinesiterapia del pavimento pelvico (gli esercizi di Kegel),
- il biofeedback
- la stimolazione elettrica funzionale.
Mentre la farmacoterapia è una delle forme principali di trattamento dell’incontinenza da urgenza, il ruolo di questa nell’incontinenza da sforzo riveste sicuramente un ruolo secondario e si limita fondamentalmente all’impiego di estrogeni e/o della duloxetina.
Esistono in letteratura molti lavori che indicano un miglioramento dell’incontinenza da sforzo dopo estrogenoterapia. La loro azione è dose-dipendente ed è il trattamento per via vaginale che da i migliori risultati che si osservano in genere non prima dei 2 mesi.
Da sempre la chirurgia è considerata il gold standard nel trattamento dell’incontinenza urinaria femminile da sforzo, a maggior ragione dopo l’avvento delle tecniche mininvasive. intendendo con ciò un approccio poco cruento che senza andare a scapito delle proprietà curative, comporti un minor rischio di complicanze post operatorie e quindi una ridotta degenza ospedaliera con un successivo precoce ritorno alle attività quotidiane.
Rientrano tra queste:
- TVT (Transvaginal Tension – Free Vaginal Tape)
L’intervento, sulla scia della teoria integrale di Ulmsten, per la fisiopatologia dell’incontinenza da sforzo, mira a ricreare un sostegno al di sotto dell’uretra posizionando una benderella in prolene, senza tensione (tension free) al di sotto dell’uretra media stessa, passandolo poi in posizione retropubica. La successiva deposizione di collagene lungo il nastro ricrea il meccanismo di supporto che da sostegno all’uretra consentendo la continenza.
L’intervento, salvo controindicazioni, viene eseguito in anestesia locale o regionale, attraverso un accesso vaginale, in regime di day hospital o con un giorno di ricovero. Al termine dell’intervento viene generalmente posizionato un catetere vescicale che viene definitivamente rimosso il giorno successivo, alla ripresa della minzione spontanea..
La paziente si deve astenere da sforzi fisici per almeno un mese. L’attività sessuale può essere ripresa dopo 4 settimane.
Percentuale di cura, ad un follow-up di 5 anni sono dell’85- 90%.
- TOT (Trans-Obturator-Tape)
Negli ultimi anni in considerazione dei medesimi risultati clinici, della minori complicanze e della maggiore semplicità tale intervento è stato quasi completamente sostituito dalla TOT (Trans-Obturator-Tape).
Sostanzialmente questa tecnica chirurgica si differenzia dalla precedente per la sola via d’accesso utilizzata per il posizionamento della benderella: il forame otturatorio.
Tale metodica è nata dalla volontà di evitare il passaggio nello spazio retropubico che in donne sovrappeso o che hanno gia subito chirurgia pelvica può esporre a maggior rischio di complicanze quali la perforazione vescicale.
FAQ – LE DOMANDE PIU’ FREQUENTI
L’incontinenza urinaria è una problematica che colpisce molte piu donne di quanto si possa immaginare.
I fattori responsabili possono essere molti; esistono dei fattori predisponesti (familiarità, ecc) sui quali possono interferire fattori scatenanti (parti, soprappeso, ecc) Fattori, che singolarmente o in di combinazione tra loro, possono contribuire a determinare alterazioni dei muscoli del pavimento pelvico e/o dello sfintere urinario intrinseco che sono la causa dell’incontinenza urinaria da sforzo.
In chirurgia non esiste un intervento che assicuri la riuscita al 100%; le nuove tecniche mininvasive comunque hanno percentuali di guarigione molto elevate che superano in alcune casistiche il 95%.
In caso di incontinenza urinaria di tipo lieve-moderata buoni risultati si possono ottenere con la riabilitazione del pavimento pelvico più o meno associata alla duloxetina.
E’ opinione diffusa delle donne di credere che sia il ginecologo ad occuparsi di incontinenza urinaria; sicuramente è una problematica che può e deve essere affrontata da ambedue le discipline.
La TOT richiede un ricovero di è 24-48 ore.
Si tratta generalmente di interventi poco traumatici e poco dolorosi.
Dal giorno successivo all’operazione la paziente gradualmente riprenderà le proprie attività astenendosi pero dal fare sforzi fisici per 3-4 settimane.
Dopo 4 settimane.
Può registrarsi nel post operatorio una difficoltosa ripresa della minzione spontanea. Generalmente si risolve mantenendo il catetere vescicale per qualche giorno.